SCUOLA DI SCULTURA
Casimiro Piazza

pittore e scultore

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Presentazione

di Dalmazio Ambrosioni

 

Dall’artigianato all’arte popolare e ritorno

Quel matt d’un Casimiro. L’ho sentita più di una volta, mi piace quel sentirgli dare del "matt". Così come lo diamo noi, in dialetto. "Matt" nel senso di uno creativo, pieno d’inventiva, che non sai mai dove va a parare. Un po’ fuori dalle regole, imprevedibile e imprendibile, anticonformista, non classificabile secondo i canoni usuali. Uno che si dà da fare, non sta mai fermo, che ha la testa dove noi – prevedibilmente normali – non la cacciamo mai e, quando meno te l’aspetti, te ne combina qualcuna delle sue. Una la fa e cento le inventa, il Casimiro. Mosso sempre da un motore, una fucina in piena attività, scoppiettante.

L’ultima delle sue è l’esposizione al Capannone delle manifestazioni di Pregassona. Cento opere, centocinquanta, duecento, chissà. Perché il Casimiro, Casimiro Piazza, festeggia i suoi sessant’anni con una mostra. E con cosa d’altro potrebbe, visto che "matt" lo è proprio nella direzione dell’arte: precisamente arte popolare e artigianato. Cosicché le decine e decine di opere che esporrà (tra le oltre mille realizzate da quando aveva 12 anni, da quella "Santa casa lauretana" che ha da poco replicato in marmo di Carrara) sono, di quell’essere "matt", il risultato tutt’altro che concluso, visto che negli ultimi dieci anni ne ha realizzato oltre duecento e intende continuare su questo ritmo. Insomma è nel pieno della produttività, direi della maturità, poiché ha chiarito oltre ogni dubbio quello che intende fare e come lo intende fare, avendo oliato al meglio il motore delle sue le capacità e messo a punto le tecniche produttive. Come dire che quel "matt" di Casimiro ha messo la testa a posto. A modo suo, ovviamente, ossia proponendosi come artigiano e artista di stampo prettamente popolare, con l’accento proprio sul "popolare".

Popolarmente dotto

Casimiro Piazza è popolare nel senso che tutti lo conoscono, è diventato una costante del nostro panorama appunto artigianale e artistico. Ma " popolare" anche in senso dotto, e per varie ragioni.

La prima è che l’arte popolare vive essenzialmente del rapporto diretto, immediato, tra produttore e fruitore, tolto il quale non si può più parlare di cultura popolare. Diversamente verrebbe a cadere quel carattere di schiettezza che caratterizza questa produzione, e se vogliamo anche di "ingenuità", nel senso di produzione spontanea che si rifà a canoni appunto popolari. Questo rapporto diretto non solo esiste nel caso di Casimiro Piazza, ma è esattamente il modo con cui, attraverso il suo modo di essere e il suo lavoro, entra in contatto con i "fruitori", ossia la gente; tutta la gente, senza distinzione: dal banchiere al contadino, dal giovane al pensionato.

Da qui nasce la seconda ragione, ed è la comunicazione. Nel suo modo di essere, ma in particolare con la sua produzione, Casimiro Piazza è un grande comunicatore. Uno che non ha barriere nel porsi in rapporto, nel farsi capire dagli altri; uno il cui messaggio passa immediatamente, senza bisogno di complicate mediazioni. Le sue opere parlano alla gente. E perché? Essenzialmente perché si serve di modelli comunicativi conosciuti e condivisi proprio per il fatto di appartenere egli stesso totalmente, al cento per cento, al mondo della cultura popolare.

Guardiamo i materiali: cosa c’è di più popolare del legno, della pietra, della terra? Il legno, anzi i legni, sono tipici del territorio prealpino: noce, ciliegio, frassino, abete. Le pietre anche: gesso, marmo e granito. E qui si concede una finezza: oltre ai nostri marmi, il Cristallina e l’Arzo, utilizza il marmo bianco di Carrara, ossia il massimo della grande tradizione scultorea e, rapportato alla cultura italiana, della scultura in pietra tout-court. Infatti cosa fa quel "matt" d’un Casimiro? Ad un certo punto della sua vita, quando avverte il bisogno di andare oltre il legno, che conosce e lavora così bene, va a Carrara e umilmente impara a lavorare la pietra di Michelangelo e del Canova. Chi se ne intende dice che lavorarla non è così facile, perché tende a scheggiarsi, e ci vuole molto mestiere.

Infine la terra, terracotta, che utilizza in molti modi, impastandola con gessi e sostanze vetrose (ancora rocce) e polvere di bronzo, allo scopo di rendere la scultura ancora più duratura. E quando non basta, ecco, per ragioni di statica, l’armatura in ferro, che più consueto e popolare non si può. Così – per andare sul sicuro e soddisfare l’impulso creativo - finisce che abbiamo "terrecotte gessate, vetrificate, patinate, bronzate". Un caso unico al mondo, penso, mentre lui se la ride sotto i baffi.

Religione e Mito

Così è per i materiali. Discorso analogo per i soggetti, i temi delle sue opere, che appartengono pienamente al mondo popolare. Dapprima quelli religiosi: l’Ultima Cena, la Madonna (che diventa anche simbolo della Maternità e metafora dell’Attesa), il Crocifisso, la Madonna e il Cristo (la Pietà), gli Angeli, i Santi. Ovviamente non Santi… esotici, ma cari alla devozione popolare: Antonio da Padova, Rocco, Nicolao della Flüe.

Poi i soggetti della Mitologia greca, come dire un momento fondante della cultura classica, mediterranea, di cui siamo figli: Venere (in varie forme: nascente dalle acque, seduta, in piedi), Andromeda (che assurge anche a metafora delle tragedie della vita), Elettra, Diana cacciatrice, il Minotauro, Leda e il cigno ecc. Anche questi sono soggetti entrati stabilmente a far parte della cultura popolare, e Casimiro Piazza li reinterpreta in varie forme, volutamente fedele ma non troppo all’esegesi storiografica. Così come il Nudo femminile, inteso come genere pittorico, ma anche come soggetto simbolico per esprimere altre cose, dall’inno alla bellezza al giudizio morale.

Ma il colpo d’ala della sua originalità, a tratti apparentemente un po’ stramba, lo troviamo nei soggetti liberi: Mano destra dell’artista (la sua), Piede con 6 dita, Sollevatore di pesi, Le 4 facce del baratro, Infarto, Clonazione, Ninfa dello Scorpione, Corte del Tribunale di Sessa, Extraterrestre, Leda con 2 cigni, Suonatore di flauto di Pan, Autoritratto con gatto, Ritratto di Borromini, Cavallo monco, Lotta anaconda-cavallo e via elencando. Ho detto "apparentemente" stramba, perché anche questo filone un po’ ingenuo, un po’ trasgressivo e un po’ provocatorio, appartiene alla tradizione popolare, quasi uno sberleffo per farsi beffe della cultura ufficiale, una rasoiata alla Ligabue per stravolgere l’ordine delle cose. Non a caso, con Ligabue e i naifs (da Rousseu il Doganiere in poi) condivide il Bestiario, anch’esso parte della tradizione popolare: leoni, tigri, stambecchi, cervi, cavalli, tori ecc. in una fantasmagoria di forme e colori, una sorta di divertissement provocatorio ma anche affettuoso.

Per poi, doverosamente, passare ai Paesaggi. E se abbiamo qualche dubbio nel considerare le Nuvole e la Nebbia un paesaggio, visto che ne fanno parte in forme irripetibili, certamente lo sono: Denti della Vecchia (in varie versioni), Nucleo di Capolago, Due ponti a Ganone, Pizzo di Claro visto da Gorduno, Saint Jmier, Eggen, Ried, Monte Tamaro, Rustico a Losanna ecc. ecc. e poi l’ampia gamma di chiese ticinesi (Curio, Sessa, Medaglia, Ponte Tresa, Carona, Maroggia, Madera ecc.) e dell’altra Svizzera.

Un po’ cantastorie

La terza ragione della sua "popolarità" ed anche del carattere "Pop" della sua produzione, è indubbiamente serio. E consiste nel fatto che, tra arte popolare e artigianato, corre un rapporto di vicendevole, stimolante influenza. Molto spesso l’artigianato, non solo quello rustico e periferico ma anche quello cittadino e professionale a vari livelli, contribuisce a tener vive certe tecniche artistiche. Questo avviene nella misura in cui le tecniche usate per la lavorazione sono ancora subordinate strettamente, come nel mondo popolare, al materiale usato; quando cioè, pur nel parziale affinamento delle tecniche e del gusto, non si ha l’intervento di mezzi produttivi totalmente estranei e inaccessibili al mondo popolare. E Casimiro Piazza vi rimane totalmente fedele.

Quando infatti si rimane nell’ambito del piccolo artigianato, la funzione di influenza e di supporto da questo esercitata nei confronti dell’arte popolare è innegabile. Si potrebbe paragonare questo artigianato al lavoro del cantastorie e alla sua funzione nei confronti della musica popolare. Tanto l’artigiano quanto il cantastorie, infatti, si muovono in un ambito di consapevole elaborazione formale, e per certi versi già di delega ricevuta dal contesto popolare (sia pure una delega che nasce non ancora dalla specializzazione quanto dalla funzionalità), che magari – come nel nostro tempo – si rende conto di star perdendo il filo diretto con la tradizione.

Infatti tanto i materiali quanto i soggetti, e in particolare quelli di più personale inventiva, riportano ad un fenomeno chiamato "atavismo artistico", che ha avuto un ruolo essenziale nella produzione popolare, agendo sia come forza di controllo che come stimolo. A questo proposito, particolarmente significativa nella produzione di Casimiro Piazza è la commistione, tipicamente popolare, tra mitologia e religione cristiana, tra religione e paganesimo. Faccio un esempio: quando Casimiro Piazza rappresenta singole parti del corpo umano, ripercorre in fondo il rituale magico della sostituzione di una parte malata con un’altra del tutto simile, ma sana, secondo un processo miracolistico.

Figlio della civiltà rustica

Questo per dire che quel "matt" d’un Piazza Casimiro da Sonvico ci offre il motivo per occuparci di artigianato ed arte popolare, lungo un confine che non può sempre essere ben distinto e precisato. Anzi non lo è quasi mai. Ci permette anche di toccare un filone molto ampio, nel tempo e nello spazio, che anche alle nostre latitudini (ticinesi, svizzero-italiane, prealpine, insubrocce, lombarde, della regione dei laghi) capita sempre più raramente di poter fare. Anche se, per dirla con uno che se ne intendeva, come Virgilio Guardoni, tutti siamo figli di questa cultura popolare, o rustica o paesana, per dirla con riferimento al termine inglese di "Paesana Art". Casimiro Piazza ne è un po’ più figlio di noi, o almeno ha il coraggio di ammetterlo.


Aggiornamento 18.02.2009

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